Walter Tripi | Il Fintocolto
Quando il Fintocolto viaggia, viaggia per crescere e ispirarsi. Dopo aver ricercato una guida adatta – poco costosa, completissima, piena di ciò che esso già ritiene di sapere e vuole solo sentirsi ripetere – cade su una Lonely Planet: costosa, completissima, piena di un sacco di cose che non sa e non leggerà, perché quando il Fintocolto va in una città già la conosce. Ha sentito parlare dei colori, del meteo, delle feste, delle usanze, dei prezzi, dei profumi. Li conosce e vuole soltanto conferme. Sa già che lo ispireranno, tanto che potrebbe ispirarsi direttamente da casa. Ma viaggiare, si sa, è cosa troppo bella…
Il Fintocolto che parte per Amsterdam ha una madre verosimilmente preoccupata: già si vede a doversi calare, dalla parrucchiera, nei panni della madre di Maradona (“Fa uso di droga, ma è un bravissimo ragazzo”) o di Rocco Siffredi (“…”).
Il Fintocolto parte invece, come al solito, stracarico di pretese. Nel caso specifico però, le pretese sono orientate verso due poli attrattivi ben definiti ma opposti: da un lato, la propria inespugnabile volontà di esser Colto e dunque diverso, di essere in quanto cogitante, di poter successivamente discorrere con aria grave ma consapevole di Anna Frank e dell’orecchio di Van Gogh, delle colonie e di Rembrandt (dopo essersi opportunamente informato circa il corretto posizionamento dell’accento nella dicitura orale); dall’altro lato, un certo interesse – residuo di maturazione incompleta e incompletabile – verso la cannabis e le vetrine, un po’ per sfida verso gli amici, un po’ per sfida verso le molteplici condizioni morali self-made che ha costruito nel tempo. Un po’ semplicemente perché altrimenti a Amsterdam che ci vai a fare?
Nel ‘Red Light District’ sente voci suadenti che provengono da unghie coloratissime, gli dicono “bell’italiano, io e te dobbiamo fare sesso”. Orgoglio che perdura alcuni secondi. Ne era convinto: quegli occhialoni lo rendono incantevole. Bambini che giocano di fronte alle vetrine, famigliole che escono da porte attaccate ai Coffee Shop, nei quali il Fintocolto riesce – non senza imbarazzata difficoltà – a chiedere qualcosina di già pronto, in una lingua anglostrascicata di propria invenzione, insieme a qualcosa di vagamente simile a un caffè. Già, il caffè. Il caffè manca, manca sempre. E anche la pizza. E la pasta. D’altronde che vuoi: un paese che ha come piatto tipico l’aringa non può avere molto senso.
Eppure, con la Lonely Planet ben chiusa nell’improbabile zainetto solo-da-viaggio, il Fintocolto si ritrova in una città bellissima e in pieno cambiamento: vorrebbe vivere all’ultimo piano di quelle belle costruzioni sui canali, con le finestre grandi a da cui sporgersi durante le proprie migliori riflessioni. Vorrebbe utilizzare quella gigantesca Biblioteca bianca e salire su Nemo tutte le volte che vuole, girovagare per quell’aria in cui sembra tutto possibile e pensare che tutto è possibile davvero, lo sarebbe ovunque ma lì lo è di più. O lo è meglio. O in modo diverso ma più convincente, sarà forse che il metro di paragone su se stessi lì pare essere proprio con se stessi e basta. È possibile anche avere voglia di andare in bicicletta: in patria non lo fa mai, dovrebbe. Già pensa ad acquistarne una vintage, di un bel colore acceso con la speranza di esser notato come “il tipo che va sempre in bicicletta”: darebbe qualunque cosa per essere il tipo. Intanto impara, se pur al quarto giorno, che la striscia rossa con il disegnino della bike vuol dire “pista ciclabile”: se ci cammini sopra, dai fastidio. Poco per volta.
Quando torna verso casa, dopo aver verificato che Starbucks e i McDonald’s di Amsterdam siano qualitativamente allineabili agli altri di tutta Europa (l’aringa era chieder troppo, davvero…), il Fintocolto sente di dover forzosamente tornare in uno spazio troppo più piccolo dei propri pensieri. Vorrebbe poter esternare il fatto che lì ha visto una ulteriore delle proprie vite possibili, e che gli è anche piaciuta. Vorrebbe anche poter esternare il fatto che il Rijksmuseum lo ha annoiato mortalmente, che lo Stedelijk gli è piaciuto un sacco ma non ci ha capito niente, che alla Casa-Museo Rembrandt non c’è manco passato: deciderà con calma se mentire o semplicemente asserire che quei quadri in particolare non gli erano di stimolo, la qual frase sarebbe solo un lenzuolo di altezzosità a coprire una serena verità. Vorrebbe aggiungere che zoccoli, mulini e tulipani li ha trovati solo e soltanto nelle calamite da frigo nei negozi di souvenir. Di Kluivert e Overmars neanche l’ombra.
Vorrebbe poter dire un sacco di cose insomma. Si limiterà, come al solito: dirà vagamente che si è divertito un sacco, grandi fumate, grandi vibratori, i musei davvero niente male e comunque la città l’avrebbe fatta più sporca. Una discreta via di mezzo tra i due poli attrattivi iniziali: un colto libertino, un impavido ragazzo per bene. Azzittite le curiosità altrui, aprirà la propria Moleskine e ci appunterà sopra una roba complicata e velleitaria che provi a spiegare tutti quegli strani vuoti che quelle strade piene gli hanno lasciato addosso. Il nostro Fintocolto aveva ancora una volta sottovalutato le conseguenze dell’amore, tenta così di annullarle. Pubblica qualche foto su Facebook, utilizza parole come “devasto” nelle didascalie. Regala souvenir a forma di canna.
Torna a gustarsi il proprio caffè e, ovviamente ispirato, pensa che vorrebbe essere altrove, per esempio a perdere l’orientamento su ponti simili e ritrovarlo grazie a case storte e grandi piazze, scoprire che nel frattempo ha incontrato un sacco di vite da invidiare, sfacciatamente svelate lungo canali verdissimi e con il sole che va via in tarda serata. A Amsterdam, per esempio.